Cinquant’anni fa l’armata Brancaleone conquistava la Tuscia
“Groppone da Ficulle fu lo più grande capitan di Tuscia. E io son colui che con un sol colpo d’ascia lo tagliò in due. Lo mio nome – stare attenti! – lo mio nome est Brancaleone da Norcia”.
Molti ricorderanno una delle migliori battute dello storico film L’armata Brancaleone. La grande creazione di Mario Monicelli festeggia i 50 anni proprio in questi giorni. Il film, uscito nelle sale il 7 aprile del 1966, è stato una grande rivoluzione sulla visione che si è sempre avuta sul medioevo. Con L’armata Brancaleone il regista toscano ha spogliato quel periodo storico di tutti gli orpelli e lo ha reso per quello che, forse, veramente era, un periodo cruento e truce. Ma non senza tanta ironia.
“Questo è il mio film preferito – affermava dieci fa Mario Monicelli in occasione del restauro del film – perché rappresenta la rottura con una certa idea della storia medievale, fatta di paladini e dame cortesi, mentre noi mostravamo la ferocia e l’inciviltà dell’epoca”.
Vittorio Gassman, Carlo Pisacane, Catherine Spaak, Gian Maria Volonté, Enrico Maria Salerno, Barbara Steele, Folco Lulli, Maria Grazia Buccella, Ugo Fangareggi, Pippo Starnazza e Fulvia Franco sono i protagonisti di questa pellicola storica.
Ma protagonisti sono anche i meravigliosi luoghi della Tuscia che fanno capolino in tutto il film con la loro bellezza.
Durante il suo viaggio l’armata Brancaleone tocca i territori più belli di Viterbo e provincia, in una cartolina video suggestiva.
Viterbo (il portone della vedova appestata è quello di Palazzo Chigi), Nepi, Canino, Vitorchiano, Valentano, Fabrica di Roma, Falerii Novi, lago di Vico, Ronciglione, Civita di Bagnoregio, la selva Cimina, Tuscania, Chia (Torre di Chia), Civita Castellana, Bolsena fanno da sfondo alla gesta del grande Brancaleone. (fonte)
Il paese più “fotografato” dal film, però, è sicuramente Vitorchiano, il bel centro dei monti Cimini arroccato su grandi massi di peperino a strapiombo sulla valle in cui scorre il Rio Acqua Fredda. Proprio salendo dalla valle i nostri eroi giungono in questa “cittade” all’inizio del loro viaggio, trovandola completamente disabitata. Brancaleone non sembra conoscere esattamente il posto, pur se ostenta il contrario con un eloquente “È certamente San Cimone o Bagnarolo… o anco Panzanatico… o altro loco che io non saprei”.
Tutti, eccetto il guardingo Teofilatto dei Leonzi, entrano nella città passando per un grande arco:
tutta questa zona è rimasta identica a come si presentava nel 1966 e per gli amanti del film (sfido chiunque a non esserlo!) è possibile compiere lo stesso percorso e sedersi sul parapetto su cui si siede Gian Maria Volonté nel film…
Passato l’arco, però, nella realtà ci si affaccia sulla piazza centrale del paese, uno scenario troppo identificabile e quindi, nella finzione, Aquilante e l’armata sbucano in un altro vicolo di Vitorchiano, più a ridosso della cinta muraria e con due scale d’accesso a delle case ancora perfettamente identiche a cinquant’anni fa! È qui che gli uomini iniziano a saccheggiare su preciso ordine “che l’armata Brancaleone lasci il suo terribile segno… dura lex sed lex“, ma in realtà accumulano solo “e presciutti, e mortadelle, e culatelli…”, come urla festante Pecoro (Folco Lulli).
Da queste faccende Brancaleone verrà distolto dal soave canto, il celeberrimo “cuccurucù” intonato da una discinta e voluttuosa Maria Grazia Buccella (“prenidmi dammiti, dammiti prendimi”). Questa scena, però, è girata a Viterbo e il portone della residenza della dama è quello di Palazzo Chigi. Solo dopo aver scoperto che l’assenza di abitanti è dovuta a “lo morbo che tutti ci piglia”, Brancaleone ritorna sui suoi passi e nella piccola via di Vitorchiano di cui si distinguono le mura. L’intera armata lascia la cittadina sulle orme di Aquilante – “egli conosce la via della fuga” – compiendo a ritroso il percorso già visto, prima sotto l’arco con le scale e poi sotto quello della piazza principale del paese, per riscendere a valle… (fonte)